La Piazzetta dei Mosaici è stata realizzata, come abbiamo visto prima, dallo scultore Venturino Venturi e dagli architetti Renato Baldi e Lionello De Luigi. Venturi costruì con le proprie mani il muro che avrebbe coperto poi di scene a mosaico, usando tessere di vetro, pietre, frammenti di marmo multicolore
La Piazza è costituita da un quadrato di 30 metri di lato, lastricata e chiusa da muri perimetrali sagomati alti circa un metro e mezzo, sui quali scorre una suggestiva rievocazione di Pinocchio per flash di personaggi ed episodi, conclusa da un simbolico girotondo felice di tutti i bambini del mondo.
Cerchiamo però di capire meglio come siamo arrivati a questa singolare realizzazione artistica e quali implicazioni estetiche comporta l’opera nei confronti dello spettatore.
Come era stata pensata dagli autori? Come viene esperita dai fruitori? Che tipo di esperienza provoca in chi la attraversa? In che modo quest’opera si pone nei confronti dello spazio e del tempo?
Il progetto di Venturino e degli architetti Renato Baldi e Lionello De Luigi, si muove da un’idea innovativa di monumento pubblico. Piuttosto che realizzare una statua commemorativa come un tradizionale monumentum[1], i tre concepiscono una struttura pubblica percorribile, un contenitore vivo, un’agorà, una piazza aperta alla meraviglia dell’incontro e dello scambio.
Gli artisti responsabili della realizzazione della Piazzetta hanno accolto alla lettera l’articolo 2 del Bando di Concorso per il Monumento di Pinocchio a Collodi: “E’ lasciata agli artisti la più ampia libertà di soluzioni architettoniche, plastiche e pittoriche; si fa presente, tuttavia, che l’opera convenientemente disposta in una sistemazione a verde, dovrebbe ispirarsi al contenuto ed allo spirito del libro Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi[2]".
In questo senso l’ampia libertà stilistica ed espressiva si va a sposare con lo spirito più genuino dell’opera collodiana, ricca di simboli, archetipi e aperta ai temi universali ma “vestita” con lo stile giocoso di una novella per l’infanzia. La forma naïve ed essenziale delle figure musive conserva la forza primigenia dei personaggi del romanzo e si propone come galleria visuale liberamente esplorabile dagli spettatori.
Quest’opera possiede, inoltre, un grado di interattività intrinseca: gli episodi e i personaggi raffigurati non sono disposti secondo un ordine cronologico coerente col romanzo, cosa che prefigurerebbe un unico percorso fruitivo corretto, ma anzi sono disposti in maniera complessa e non lineare, incentivando i visitatori a percorrere più e più volte il tragitto di fronte alle varie facciate così da scoprire i vari accostamenti, i confronti e le relazioni che sussistono fra le varie figure ritratte sulle pareti della piazza.
Come sappiamo però, l’idea originale di Venturino era quella di porre al centro della sua Piazzetta la statua alta cinque metri di un Pinocchio-gnomone che si ponesse come centro di irraggiamento da cui partire per esplorare le varie scene raffigurate.
Questo polo centrale, che purtroppo non fu mai realizzato né installato secondo la concezione originale, doveva essere anche il punto di regolazione dello spazio e del tempo nella fruizione dell’opera da parte dello spettatore. Una sorta di punto zero a partire dal quale vengono generati tutti gli altri elementi.
Come riferimento spaziale avrebbe senz’altro avuto un ruolo di rilievo per la sua posizione centrale e per il fatto di essere un elemento statuario inserito in un ambiente architettonico e musivo. Dal punto di vista temporale invece, l’idea degli artisti era quella di sfruttare il movimento apparente del sole per proiettare l’ombra della statua del burattino sulle varie superfici mosaicate, cosicché lo scorrere del tempo sarebbe stato segnalato dal “cambio scena” operato dall’ombra dello gnomone.
Questo elemento avrebbe inserito a pieno titolo nell’opera d’arte una caratteristica di modularità basata su uno schema circolare, ricorrente e ancestrale quale il movimento del pianeta Terra attorno al Sole, facendo della piazzetta un microcosmo risonante col macrocosmo del sistema solare.
[1] Dal verbo latino monere traducibile con ricordare, far sapere (https://www.etimo.it/?term=monumento)
[2] Documento presente nell’Archivio della Fondazione Nazionale Carlo Collodi (Collodi, Pescia)